In via Vannucci 13, nel quartiere di Porta Romana, una delle zone più attive e in rapida trasformazione della metropoli milanese, tre amici hanno deciso di creare un luogo dove ospitare iniziative dedicate alla giovane arte contemporanea.
Fino al 6 marzo 2011, sarà Mattia Biagi (Ravenna 1974), che da anni vive e lavora negli Stati Uniti, a tenere a battesimo la galleria, con la personale dal titolo Black tar (catrame).
Il percorso espositivo raccoglierà 40 lavori che documentano la recente ricerca dell’artista ravennate, talento eclettico e raffinato, capace di elaborare un processo creativo innovativo e che lo ha portato, dopo gli inizi milanesi e la collaborazione con il designer Giulio Cappellini, a trasferirsi a Los Angeles e ad avvicinarsi al catrame come mezzo espressivo. Fu la visita al La Brea park di Los Angeles, un’area geologica caratterizzata da giacimenti di catrame, pieni di fossili perfettamente conservati, a guidarlo verso questa sua cifra stilistica.
È qui che nasce il black tar, pratica creativa che Mattia Biagi trasforma in rito: rivestire di catrame, con una sofisticata tecnica, oggetti di uso comune, assunti quali icone rappresentative di un personale messaggio. L’artista viene così a creare una nuova forma estetica che cristallizza la struttura originaria, esaltandola attraverso uno strato denso di catrame; la luce naturale riflette le sfaccettature lucide e opache dell’opera stessa, come un diamante nero.
Il contrasto tra oggetto riconoscibile e oggetto non fruibile è una delle chiavi di lettura di questa mostra, dove anche un tenero Teddy Bear non è più solo un ricordo dell’infanzia, ma diventa l’immagine di un’innocenza perduta.
“Il catrame è il mio ‘mezzo espressivo’ – osserva lo stesso Mattia Biagi; mi piace perché rende solido il colore nero, permettendo di intravedere ancora la forma dell’oggetto”.
Questo processo non risparmia gli strumenti musicali: un’arpa, una chitarra, una viola, oggetti destinati a non suonare più ma che, grazie al black tar, ottengono una nuova bellezza. E poi armi da guerra che, per mezzo del catrame, non potranno più arrecare danno, né distruzione in questo contesto artistico; oggetti di morte, cui il catrame ha tolto la loro funzione.
L’artista compie così una riflessione intima sulla religione; il catrame applicato all’iconografia sacra perde qualsiasi connotazione blasfema, ed enfatizza il suo personale percorso di fede.
Jesus save us, un crocifisso ligneo alto più di due metri, sarà il paradigma di questa sezione.
La mostra è accompagnata da un catalogo edito da Skira.