Neruda, dal 13 ottobre nelle sale italiane – e a dicembre negli Stati Uniti – non è un film catalogabile: lontano dai biopic, un po’ spy story ma molto originale, il nuovo lavoro del cileno Larraín stupisce e convince.
Presentato per la prima volta al Festival di Cannes lo scorso maggio, Neruda racconta in maniera anomala e irriverente una parte della vita del più grande esponente che il Cile possa vantare, poeta, politico e diplomatico, ripercorrendo gli eventi storici e politici a cui il Premio Nobel per la letteratura (riconosciutogli nel 1971) dovette adeguarsi.
Siamo in Cile, nel 1948, e il governo del Presidente Gabriel González Videla preferisce seguire la strada della politica statunitense e mettere al bando, dunque, il comunismo e i suoi seguaci. È presto detto: per Pablo Neruda, pseudonimo di Ricardo Eliécer Neftalí Reyes Basoalto e qui interpretato da Luis Gnecco, arrivano tempi duri. In accordo con il Partito Comunista, infatti, al carcere preferisce darsi alla fuga ma non avrà vita facile perché dovrà vedersela con Oscar Peluchonneau (Gael García Bernal), l’ispettore che Videla gli mette alle calcagna.
Lo stesso Larraín, che definisce il suo lavoro “una fantasia sulla fuga e l’esilio del poeta”, abitua lo spettatore a un infinito botta e risposta tra la preda (molto astuta) e il suo cacciatore (un po’ vittima predestinata) che costringe i due a una lotta a distanza tra paesaggi spettacolari e ostili, a continui spostamenti e ospitate di fortuna sotto falsa identità. Ad accompagnare il poeta nella sua fuga c’è Delia del Carril (Mercedes Morán), sua seconda moglie, complice, amica e fidata musa di un Neruda qui egocentrico e godereccio, amante dei piaceri della vita e delle belle donne, che se la spassa nel recitare in pubblico i suoi versi e frequenta bordelli, una figura decisamente lontana da quella commovente e romantica che ne venne dipinta ne Il Postino. Sarà la relazione a distanza con Peluchonneau che porterà Neruda a vivere un epilogo brillante.
L’ossessione crescente per la cattura che assale l’Ispettore-Bernal e l’evidente sofferenza nell’essere condannato da tutti a un inevitabile ruolo secondario rischia di annullarlo, nella carne e nello spirito. Un finale onirico e visionario, con alle spalle una cornice difficile e innevata, contrappone la grandezza (non solo fisica) di un Neruda immenso e l’orgoglio di un poliziotto malinconico e sensibile risucchiato dal suo essere maniacalmente ligio al dovere. Sarebbe davvero un peccato non essere deliziati dalla visione in lingua originale.