Dunque. Prova ad immaginare.
Sei lì che riordini casa, hai appena dato da mangiare al cane.
Suonano alla porta. Sarà il postino.
Apri e il postino è un funzionario di polizia.
Ti chiede di seguirlo, per la tua sicurezza.
Ci sono un paio di accertamenti da fare al distretto.
Cosa c’entri la sicurezza con il cappuccio che ti infilano in testa non te lo sai spiegare.
Arrivi in un posto che sembra una palestra.
Al piano di sotto, però, al posto degli spogliatoi trovi delle celle.
Due stanze più in là la musica a tutto volume non riesce a nascondere il grido della
donna.
Da un buco nel muro riesci a vedere un braccio che esce dal lenzuolo con cui hanno
ricoperto il cadavere.
A te no, non succederà. Tu non hai fatto nulla.
Il fatto di essere cugina di secondo grado di un giornalista con un paio di articoli scomodi nel curriculum, non ti pare una ragione sufficiente.
Per loro, lo è.
Ma a te no, non succederà. Per te c’è un programma diverso.
Un viaggio. Un trasferimento, come lo chiamano loro.
Un’iniezione, che ti viene presentata come “vaccino”. L’ultima esperienza della tua vita
terrena.
Meno male.
Così non sentirai quel vuoto d’aria orribile che sempre ti prende allo stomaco, quando
un aereo decolla.
Così non avrai modo di chiederti, con malcelato terrore, perché stanno aprendo il
portellone in pieno volo.
Così non sentirai il coltello che ti aprirà il ventre un attimo prima di essere gettata in
mare.
Perché gli squali sono attratti dall’odore del sangue. Perché gli squali non lasceranno
nulla di te.
Oppure. Prova ad immaginare.
Sei lì con le gambe aperte e le mani appoggiate al muro.
La gonna non sai nemmeno che fine ha fatto.
Il Tampax, ormai, è vecchio di due giorni e il sangue non lo tiene più.
Non sai se ti umilia di più il muco che ti cola dal naso o il mestruo che ti scivola sulla
coscia.
Di certo, puzzi. Sporcizia, sudore e mestruo non sono un buon abbinamento.
Come ci sei finita lì dentro, lo ricordi appena.
Eri insieme al tuo ragazzo, appena defilati rispetto a tutti gli altri.
Li hai visti arrivare. Dodici o tredici.
Per prima, hanno colpito te. Come si dice, “prima le signore”.
Un attimo prima di svenire hai visto il tuo ragazzo a terra.
O meglio, hai visto i suoi piedi. Il resto del corpo era sommerso dai manganelli.
Chissà lui dov’è, adesso.
Chissà dove sei tu, adesso.
Fino a ieri, eri sicura di essere nel 2001.
Ora sei a cavallo tra i settanta e gli ottanta.
Fino a ieri, eri sicura di essere italiana.
Ora sei in Argentina. Ora sei in Cile.
E se non fosse per il fatto che i tuoi carcerieri parlano e cantano in romanesco, ne
saresti proprio sicura.
Ti chiedi se riuscirai a farti ricostruire il dente che ti hanno rotto ieri alla Diaz.
Ti chiedi se riuscirai a dimenticare.
Ti chiedi se riuscirai a tornare a casa.
Nunca Màs – Foto di Greta Pelizzari |